Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

lunedì 22 febbraio 2016

Sarcofaghi di Eugenio Montale

Jean Auguste Dominique Ingres 1856
Dove se ne vanno le ricciute donzelle
che recano le colme anfore su le spalle
ed hanno il fermo passo sì leggero;
e in fondo uno sbocco di valle
invano attende le belle
cui adombra una pergola di vigna
e i grappoli ne pendono oscillando.
Il sole che va in alto,
le intraviste pendici
non han tinte: nel blando
minuto la natura fulminata
atteggia le felici
sue creature, madre non matrigna,
in levità di forme.
Mondo che dorme o mondo che si gloria
d'immutata esistenza, chi può dire?,
uomo che passi, e tu dagli
il meglio ramicello del tuo orto.
Poi segui: in questa valle
non è vicenda di buio e di luce.
Lungi di qui la tua via ti conduce,
non c'è asilo per te, sei troppo morto:
seguita il giro delle tue stelle.
E dunque addio, infanti ricciutelle,
portate le colme anfore su le spalle.

***

OSSI DI SEPPIA

sabato 20 febbraio 2016

Comunicazioni di servizio

qualche giorno di vacanza...ahimé sta per finire. Domani ritorno...
Bird and Flower - Mohammad Yusuf, 17th century

mercoledì 17 febbraio 2016

Ancora Pietroburgo di Vladimir Vladimirovic Majakovskij

Negli orecchi i frantumi di un accaldato ballo
e dal Nord - più canuta della neve - una nebbia
dal volto di cannibale assetato di sangue
masticava gli insipidi passanti.

Le ore incombevano come un volgare insulto,
incombono le cinque e sono poi, le sei. 
Ci sta a guardare dal cielo una canaglia
maestosamente come un Lev Tolstoi.

***

1913
Trad. Giovanni Giudici

lunedì 15 febbraio 2016

Stanco dell'ozio amaro... di Stéphane Mallarmé

Henri Degas and his niece Lucie Degas
Edgar Degas
Stanco dell'ozio amaro dove pigrizia offende
una gloria per cui un tempo fuggii l'adorabile 
infanzia dei boschi di rose sotto l'azzurro
nativo, e del patto crudele ormai sette volte
più stanco d'aprire vegliando una fossa nuova
nel freddo e avaro terreno del mio cervello,
spietato becchino della sterilità,
- Che mai dirò, o Sogni, che mai a quest'Aurora,
Visitato da rose, se, temendo i suoi fiori
Lividi, il cimitero unirà i cavi orrori? -
Voglio lasciare l'Arte vorace di un paese
Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi
Che mostrano gli amici, il genio ed il passato,
E il lume che la mia agonia ha vegliato,
Imitare il Cinese, anima chiara e fina,
La cui estasi pura è dipinger la cima
Sopra tazze di neve rapita dalla luna
D'un fiore strano che la sua vita profuma
Trasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo
Innestarsi al suo cuore prezioso, azzurro nulla.
E la morte così, solo sogno del saggio,
Sereno, sceglierò un giovane paesaggio
Che sulle tazze assente la mia mano pingerà.
Una linea d'azzurro fine e tenue sarà
Un lago dentro il cielo di nuda porcellana,
Per una bianca nube una luna lontana
Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme,
Presso tre grandi cigli di smeraldo, le canne.

*****

Las de l'amer...repos
Las de l'amer repos où ma paresse offense
Une gloire pour qui jadis j'ai fui l'enfance
Adorable des bois de roses sous l'azur
Naturel, et plus las sept fois du pacte dur
De creuser par veillée une fosse nouvelle
Dans le terrain avare et froid de ma cervelle,
Fossoyeur sans pitié pour la stérilité,
- Que dire à cette Aurore, ô Rêves, visité
Par les roses, quand, peur de ses roses livides,
Le vaste cimetière unira les trous vides ? -
Je veux délaisser l'Art vorace d'un pays
Cruel, et, souriant aux reproches vieillis
Que me font mes amis, le passé, le génie,
Et ma lampe qui sait pourtant mon agonie,
Imiter le Chinois au coeur limpide et fin
De qui l'extase pure est de peindre la fin
Sur ses tasses de neige à la lune ravie
D'une bizarre fleur qui parfume sa vie
Transparente, la fleur qu'il a sentie, enfant,
Au filigrane bleu de l'âme se greffant.
Et, la mort telle avec le seul rêve du sage,
Serein, je vais choisir un jeune paysage
Que je peindrais encor sur les tasses, distrait.
Une ligne d'azur mince et pâle serait
Un lac, parmi le ciel de porcelaine nue,
Un clair croissant perdu par une blanche nue
Trempe sa corne calme en la glace des eaux,
Non loin de trois grands cils d'émeraude, roseaux.
*
DU PARNASSE CONTEMPORAIN

domenica 14 febbraio 2016

Sparsa le trecce morbide di Alessandro Manzoni

Victor Gabriel Gilbert (1847-1933), Sleeping Beauty or Dornröschen
Sparsa le trecce morbide
Su l'affannoso petto,
Lenta le palme, e rorida
Di morte il bianco aspetto,
Giace la pia, col tremolo
Sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: unanime
S'innalza una preghiera:
Calata in su la gelida
Fronte, una man leggiera
Sulla pupilla cerula
Stende l'estremo vel.
Sgombra, o gentil, dall'ansia
Mente i terrestri ardori;
Leva all'Eterno un candido
Pensier d'offerta, e muori:
Fuor della vita è il termine
Del lungo tuo martir.
Tal della mesta, immobile
Era quaggiuso il fato:
Sempre un obblio di chiedere
Che le saria negato;
E al Dio de' santi ascendere
Santa del suo patir.
Ahi! nelle insonni tenebre,
Pei claustri solitari,
Tra il canto delle vergini,
Ai supplicati altari,
Sempre al pensier tornavano
Gl'irrevocati dì;
Quando ancor cara, improvida
D'un avvenir mal fido,
Ebbra spirò le vivide
Aure del Franco lido,
E fra le nuore Saliche
Invidiata uscì:
Quando da un poggio aereo,
Il biondo crin gemmata,
Vedea nel pian discorrere
La caccia affaccendata,
E sulle sciolte redini
Chino il chiomato sir;
E dietro a lui la furia
De' corridor fumanti;
E lo sbandarsi, e il rapido
Redir de' veltri ansanti;
E dai tentati triboli
L'irto cinghiale uscir;
E la battuta polvere
Rigar di sangue, colto
Dal regio stral: la tenera
Alle donzelle il volto
Tolgea repente, pallida
D' amabile terror.
Oh Mosa errante! oh tepidi
Lavacri d'Aquisgrano!
Ove, deposta l'orrida
Maglia, il guerrier sovrano
Scendea del campo a tergere
Il nobile sudor!
Come rugiada al cespite
Dell'erba inaridita,
Fresca negli arsi calami
Fa rifluir la vita,
Che verdi ancor risorgono
Nel temperato albor;
Tale al pensier, cui l'empia
Virtù d'amor fatica,
Discende il refrigerio
D'una parola amica,
E il cor diverte ai placidi
Gaudii d'un altro amor.
Ma come il sol che, reduce,
L'erta infocata ascende,
E con la vampa assidua
L'immobil aura incende,
Risorti appena i gracili
Steli riarde al suol;
Ratto così dal tenue
Obblio torna immortale
L'amor sopito, e l'anima
Impaurita assale,
E le sviate immagini
Richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall'ansia
Mente i terrestri ardori;
Leva all'Eterno un candido
Pensier d'offerta, e muori:
Nel suol che dee la tenera
Tua spoglia ricoprir,
Altre infelici dormono,
Che il duol consunse; orbate
Spose dal brando, e vergini
Indarno fidanzate;
Madri che i nati videro
Trafitti impallidir.
Te, dalla rea progenie
Degli oppressor discesa,
Cui fu prodezza il numero,
Cui fu ragion l'offesa,
E dritto il sangue, e gloria
Il non aver pietà,
Te collocò la provida
Sventura in fra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.
Muori; e la faccia esanime
Si ricomponga in pace;
Com'era allor che improvida
D'un avvenir fallace,
Lievi pensier virginei
Solo pingea. Così
Dalle squarciate nuvole
Si svolve il sol cadente,
E, dietro il monte, imporpora
Il trepido occidente;
Al pio colono augurio
Di più sereno dì.

  ***

LA MORTE DI ERMENGARDA
Coro dell'atto IV
ADELCHI

venerdì 12 febbraio 2016

Sole d'inverno di Antonio Machado

Markttreiben in den verschneiten Straßen einer holländischen Stadt, Willem Koekkoek
E' mezzogiorno. Un parco.
Inverno. Bianche strade;
simmetrici monticchi
e rami scheletriti.
  Dentro la serra aranci 
fioriscono nei vasi, 
nella botte, dipinta
di verde, sta la palma.
  Dice un vecchietto avvolto
nel suo vecchio se stesso:
"Il sole, questo sole
bello!..." I bimbi giocano.
  L'acqua della fontana
scivola, scorre, e sogna
lambendo, quasi muta,
la verdognola pietra.

***

SOL DE INVIERNO

Es mediodía. Un parque.
Invierno. Blancas sendas;
simétricos montículos
y ramas esqueléticas.
  Bajo el invernadero,
naranjos en maceta,
y en su tonel, pintado
de verde, la palmera.
  Un viejecillo dice,
para su capa vieja:
« ¡El sol, esta hermosura
de sol!...» Los niños juegan.
  El agua de la fuente
resbala, corre y sueña
lamiendo, casi muda,
la verdinosa piedra.

giovedì 11 febbraio 2016

Neve di Federico Garcia Lorca

“Señora de Sorolla in White” Sorolla
Le stelle 
si stanno denudando.
Camicie di stella
cadono sui campi.
Ci saranno certo 
pellegrini. E un pianto
cercherà il focolare morto
dove fu versato.

***
SUITES

mercoledì 10 febbraio 2016

Il primo scalino di Costantino Kavafis

Thomas Cooper Gotch, Destiny, 1884.
Èumene, giovanissimo poeta,
si lamentava un giorno con Teocrito:
«Due anni sono già da quando scrivo,
e non ho fatto che un idillio solo:
è l'unico lavoro mio compiuto.
Povero me, lo vedo bene, è alta,
molto alta la scala di Poesia.
Sono soltanto sul primo scalino:
povero me, che non andrò più su».
Gli rispose Teocrito: «Stonate
sono, e blasfeme queste tue parole.
Sei sul primo gradino della scala?
Fiero devi sentirtene, e felice.
Essere giunto qua non è da poco;
quanto hai fatto non è piccola gloria.
Anche il primo gradino della scala
è tanto lungi dal volgo profano.
Se vuoi posarvi il piede, entrare devi
nella Città sublime delle Idee
col tuo diritto di cittadinanza.
Ed è cosa difficile e assai rara
che t'iscrivano là fra i cittadini.
E dei legislatori del suo foro
nessun avventuriero si fa scherno.
Essere giunto qua non è da poco;
quanto hai fatto non è piccola gloria».
***

Εις τον Θεόκριτο παραπονιούνταν
μια μέρα ο νεός ποιητής Ευμένης·
«Τώρα δυο χρόνια πέρασαν που γράφω
κ'ένα ειδύλλιο έκαμα μονάχα.
Το μόνον άρτιόν μου έργον είναι.
Αλλοίμονον είν'υψηλή, το βλέπω,
πολύ υψηλή της Ποιήσεως η σκάλα·
κι'από το σκαλί το πρώτο εδώ που είμαι
ποτέ δεν θ'αναιβώ ο δυστυχισμένος»
Είπ'ο Θεόκριτος·«Αυτά τα λόγια
ανάρμοστα και βλασφημίες είναι».
Κι'αν είσαι στο σκαλί το πρώτο, πρέπει
νάσαι υπερήφανος κ'ευτυχισμένος.
Εδώ πού έφθασες, λίγο δεν είναι·
τόσο που έκαμες, μεγάλη δόξα.
Κι αυτό ακόμη το σκαλί το πρώτο
πολύ από τον κοινό τον κόσμο απέχει.
Εις το σκαλί για να πατήσεις τούτο
πρέπει με το δικαίωμά σου νάσαι
πολίτης εις των ιδεών την πόλι.
Και δύσκολο στην πόλι εκείνην είναι
και σπάνιο να σε πολιτογραφήσουν.
Στην αγορά της βρίσκεις Νομοθέτας
που δεν γελά κανένας τυχοδιώκτης.
Εδώ πού έφθασες, λίγο δεν είναι·
τόσο που έκαμες, μεγάλη δόξα».

martedì 9 febbraio 2016

ASPASIA di Giacomo Leopardi

Eduard Magnus Jenny Lind 1862
Torna dinanzi al mio pensier talora
il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo
per abitati lochi a me lampeggia
in altri volti; o per deserti campi,
al dì sereno, alle tacenti stelle,
da soave armonia quasi ridesta,
nell'alma a sgomentarsi ancor vicina
quella superba vision risorge.
Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
mia delizia ed erinni! E mai non sento
mover profumo di fiorita piaggia,
nè di fiori olezzar vie cittadine,
ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno
che ne' vezzosi appartamenti accolta,
tutti odorati de' novelli fiori
di primavera, del color vestita
della bruna viola, a me si offerse
l'angelica tua forma, inchino il fianco
sovra nitide pelli, e circonfusa
d'arcana voluttà; quando tu, dotta
allettatrice, fervidi sonanti
baci scoccavi nelle curve labbra
de' tuoi bambini, il niveo collo intanto
porgendo, e lor di tue cagioni ignari
con la man leggiadrissima stringevi
al seno ascoso e desiato. Apparve
novo ciel, nova terra, e quasi un raggio
divino al pensier mio. Così nel fianco
non punto inerme a viva forza impresse
il tuo braccio lo stral, che poscia fitto
ululando portai finch'a quel giorno
si fu due volte ricondotto il sole.

Raggio divino al mio pensiero apparve,
donna, la tua beltà. Simile effetto
fan la bellezza e i musicali accordi,
ch'alto mistero d'ignorati Elisi
paion sovente rivelar. Vagheggia
il piagato mortal quindi la figlia
della sua mente, l'amorosa idea,
che gran parte d'Olimpo in sé racchiude,
tutta al volto ai costumi alla favella,
pari alla donna che il rapito amante
vagheggiare ed amar confuso estima.
Or questa egli non già, ma quella, ancora
nei corporali amplessi, inchina ed ama.
alfin l'errore e gli scambiati oggetti
conoscendo, s'adira; e spesso incolpa
la donna a torto. A quella eccelsa imago
sorge di rado il femminile ingegno;
e ciò che inspira ai generosi amanti
la sua stessa beltà, donna non pensa,
nè comprender potria. Non cape in quelle
anguste fronti ugual concetto. E male
al vivo sfolgorar di quegli sguardi
spera l'uomo ingannato, e mal richiede
sensi profondi, sconosciuti, e molto
più che virili, in chi dell'uomo, al tutto
da natura è minor. Che se più molli
e più tenui le membra, essa la mente
men capace e men forte anco riceve.

Né tu finor giammai quel che tu stessa
inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
che smisurato amor, che affanni intensi,
che indicibili moti e che deliri
movesti in me; nè verrà tempo alcuno
che tu l'intenda. In simil guisa ignora
esecutor di musici concenti
quel ch'ei con mano o con la voce adopra
in chi l'ascolta. Or quell'Aspasia è morta
che tanto amai. Giace per sempre, oggetto
della mia vita un dì: se non se quanto,
pur come cara larva, ad ora ad ora
tornar costuma e disparir. Tu vivi,
bella non solo ancor, ma bella tanto,
al parer mio, che tutte l'altre avanzi.
Pur quell'ardor che da te nacque è spento:
perch'io te non amai, ma quella Diva
che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.
Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque
sua celeste beltà, ch'io, per insino
già dal principio conoscente e chiaro
dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi,
pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,
cupido ti seguii finch'ella visse,
ingannato non già, ma dal piacere
di quella dolce somiglianza, un lungo
servaggio ed aspro a tollerar condotto.

Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola
sei del tuo sesso a cui piegar sostenni
l'altero capo, a cui spontaneo porsi
l'indomito mio cor. Narra che prima,
e spero ultima certo, il ciglio mio
supplichevol vedesti, a te dinanzi
me timido, tremante (ardo in ridirlo
di sdegno e di rossor), me di me privo,
ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto
spiar sommessamente, a' tuoi superbi
fastidi impallidir, brillare in volto
ad un segno cortese, ad ogni sguardo
mutar forma e color. Cadde l'incanto,
e spezzato con esso, a terra sparso
il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni
di tedio, alfin dopo il servire e dopo
un lungo vaneggiar, contento abbraccio
senno con libertà. Che se d'affetti
orba la vita, e di gentili errori,
e' notte senza stelle a mezzo il verno,
già del fato mortale a me bastante
e conforto e vendetta è che su l'erba
qui neghittoso immobile giacendo,
il mar la terra e il ciel miro e sorrido.

***
CANTI

lunedì 8 febbraio 2016

Poi malgrè tout è fine febbraio o marzo di Mario Luzi

Maria en El Pardo
Joaquín Sorolla y Bastida
 Poi malgré tout è fine febbraio o marzo:
la primavera non c’è ancora,
c’è, trepidante quella numinosa nebula,
quel fuoco bianco nell’aria,
quelle velature seta e argento,
tutto ciò che desidera il senso
ci sia
in questa piega dell’anno, tutto,
la prima barca, il primo verde dei salici,
la prima ruota d’acqua
alla virata dell’armo.
C’è tutto, tutto.
Tutto incredibilmente.
*
Da BRUCIATA LA MATERIA DEL RICORDO

domenica 7 febbraio 2016

Chioma di Capri di Pablo Neruda

John Singer Sargent-Capri-1878
Capri, regina di rocce,
nel tuo vestito
color giglio e amaranto
son vissuto per svolgere
dolore e gioia, la vigna
di grappoli abbaglianti
conquistati nel mondo,
il trepido tesoro
d'aroma e di capelli,
lampada zenitale, rosa espansa,
arnia del mio pianeta.
Vi sbarcai in inverno.
La veste di zaffiro
custodiva ai suoi piedi:
e nuda sorgeva in vapori
di cattedrale marina.
Una bellezza di pietra. In ogni
scheggia della sua pelle rinverdiva
la primavera pura
che celava un tesoro tra le crepe.
Un lampo rosso e giallo
sotto la luce tersa
giaceva sonnolento
aspettando
di scatenare la sua forza.
Sulla riva di uccelli immobili,
in mezzo al cielo,
un grido rauco, il vento
e la schiuma indicibile.
D'argento e pietra è la tua veste, appena
erompe il fiore azzurro a ricamare
il manto irsuto
col suo sangue celeste.
Solitaria Capri, vino
di chicchi d'argento,
calice d'inverno, pieno
di fermento invisibile,
alzai la tua fermezza,
la tua luce soave, le tue forme,
e il tuo alcol di stella
bevvi come se adagio
nascesse in me la vita.
Isola, dai tuoi muri
ho colto il piccolo fiore notturno
e lo serbo sul petto.
E dal mare, girando intorno a te,
ho fatto un anello d'acqua
che è rimasto sulle onde
a cingere le torri orgogliose
di pietra fiorita,
le cime spaccate
che ressero il mio amore
e serberanno con mani implacabili
l'impronta dei miei baci.
***
La patria del racimo (Las uvas y el viento)

*

Cabellera de Capri 

Capri, reina de rocas,
en tu vestido
de color amaranto y azucena
viví desarrollando
la dicha y el dolor, la viña llena
de radiantes racimos
que conquisté en la tierra,
el trémulo tesoro
de aromay cabellera,
lámpara cenital, rosa extendida,
panal de mi planeta.
Desembarqué en invierno.
Su traje de zafiro
la isla en sus pies guardaba,
y desnuda surgía en su vapor
de catedral marina.
Era de piedra su hermosura. En cada
fragmento de su piel reverdecía
la primavera pura
que escondía en las grietas su tesoro.
Un relámpago rojo y amarillo
bajo la luz delgada
yacía soñoliento
esperando la hora
de desencadenar su poderío.
En la orilla de pájaros inmóviles,
en mitad de del cielo,
un ronco grito, el viento
y la indecible espuma.
De plata y piedra tu vestido, apenas
la flor azul estalla
bordando el manto hirsuto
con su sangre celeste.
Oh soledad de Capri, vino
de las uvas de plata,
copa de invierno, plena
de ejercicio invisible,
levanté tu firmeza,
tu delecada luz, tus estructuras,
y tu alcohol de estrella
bebí como si fuera
naciendo en mí la vida.
Isla, de tus paredes
desprendí la pequeña flor nocturna
y la guardo en mi pecho.
Y desde el mar girando en tu contorno
hice un anillo de agua
que allí quedó en las olas,
encerrando las torres orgullosas
de piedra florecida,
las cumbres agrietadas
que mi amor sostuvieron
y guardarán con manos implacables
la huella de mis besos.

sabato 6 febbraio 2016

Mexico City Blues 209ª Strofa di Jack Kerouac

La Luz - Betty Busby
Bene, questo a momenti mi ammazza.
Ho fatto le valigie e è arrivato
Il momento di partire per il cielo.
Paura del viaggio. Sempre
Pensato che fosse breve e spiccio
Così me ne fregavo. Oppure
Sempre pensato che sarei stato contento d’andarmene.
 Ma chi è contento di andarsene? Voglio oro
 Voglio ricca sicurezza nelle gambe
 E buone ossa di latte vuoto
 di Bontà-Divina – voglio
Ho bisogno piango come bimbo
Voglio il mio Orsacchiotto
Dolce dorso setoso
E dong streng beng bong
Non sciupate il mio ding-dong
Cercate di scherzare con me
Un’altra volta e lo vado a dire
Al pappone, Dio puttana –
C'ho le paturnie
Mi sono espresso male
Voglio oro voglio oro
Oro di eternità

***

209th Chorus

Well, that about does me in.
I’ve packed my bags and time
Has come to start to heaven.
Afraid of the trip. Always
Thought it was short & snappy
And I wouldnt worry. Or
Always thought I’d be glad to go.
But who’s glad to go? I want gold.
I want rich safety in my legs
And good bones made of empty milk
Of God-Kindness – I want
I need I cry like baby
I want my Partotooty
Sweety backpie back
And dong stang bang bong
Dont scrounge my yoll-scrolls
And try yo fool with me
One more time & I report you
To the pimp, whore God –
I got the woozes
Said the wrong thing
Want gold want gold
Gold of eternity

venerdì 5 febbraio 2016

III. A... di John Keats

Emily Mary Osborn (English, 1828 - 1925) For the last time
Se io avessi una bella forma d'uomo,
allora i miei sospiri entro l'avorio
di codesta conchiglia, il tuo orecchio,
saprebbero echeggiare e il tuo gentile
cuore trovare senza indugio; armato
troppo bene sarei dalla passione
per questa impresa. Ahimè, ma cavaliere
di cui muoia il nemico non son io,
sul petto prominente non mi brilla
corazza alcuna; né un pastor di valle
sono, felice, che per gli occhi d'una
fanciulla gli tremarono le labbra.
Pure bisogna ch'io per te vaneggi,
dolce chiamarti, delle rose d'Ibla
più dolce assai che sentono di miele
quando le impregna una rugiada ricca
tanto che inebria. Ah sì, quella rugiada
gustare voglio, quella mi bisogna,
e quando il viso pallido disvela
la luna voglio andarne raccogliendo
qualche po' con incanti e con malie.
***

III. To...

Had I a man's fair form, then might my sighs
Be echoed swiftly through that ivory shell
Thine ear, and find thy gentle heart; so well
Would passion arm me for the enterprize:
But ah! I am no knight whose foeman dies;
No cuirass glistens on my bosom's swell;
I am no happy shepherd of the dell
Whose lips have trembled with a maiden's eyes.
Yet must I doat upon thee,--call thee sweet,
Sweeter by far than Hybla's honied roses
When steep'd in dew rich to intoxication.
Ah! I will taste that dew, for me 'tis meet,
And when the moon her pallid face discloses,
I'll gather some by spells, and incantation.

***
FULGIDA STELLA

giovedì 4 febbraio 2016

Il piacere della vita di Friedrich Hölderlin

Boleslaw Von Szankowski
Ancora ritorna in me la dolce primavera
ancora non invecchia il mio cuore infantilmente allegro
ancora scorre la rugiada dell’amore giù dall’occhio mio
ancora vivono in me il piacere e il dolore della speranza.

Ancora mi consolano con dolce incanto
il cielo blu e la verde campagna,
la divina mi porge la coppa dell’ebbrezza,
la gentile, giovane natura.

Fiducioso! Vale i dolori, questa vita
fino a quando per noi poveracci il sole di Dio splende
e immagini di un tempo migliore si librano intorno alla nostra anima,
e ahimè, un occhio gentile piange con noi.
*
traduzione di Susanna Mati
***
Lebensgenuß

Noch kehrt in mich der süße Frühling wieder,
Noch altert nicht mein kindischfröhlich Herz,
Noch rinnt vom Auge mir der Tau der Liebe nieder,
Noch lebt in mir der Hoffnung Lust und Schmerz.

Noch tröstet mich mit süßer Augenweide
Der blaue Himmel und die grüne Flur,
Mir reicht die Göttliche den Taumelkelch der Freude,
Die jugendliche, freundliche Natur.
Getrost! Es ist der Schmerzen wert, dies Leben
Solang uns Armen Gottes Sonne scheint
Und Bilder bessrer Zeit um unsre Seele schweben
Und, ach, mit uns ein freundlich Auge weint.

mercoledì 3 febbraio 2016

Neve di Alfonso Gatto

Pauline Waiting - Herbert James Gunn 1939
Un ultimo silenzio nella terra
si nega ogni rifugio
ed all'uomo propone la sua ombra.
Lascia odori timidi e pietà
d'un bacio morto per sembianza.
*
da Poesie 1929-1941

martedì 2 febbraio 2016

Alla luna di Johann Wolfgang Goethe

Arnold Marc Gorter
Di nuovo inondi bosco e valle
silente di luminosa bruma;
e questa volta sciogli alfine
tutta l’anima mia.

Sopra i miei campi diffondi
il tuo sguardo mitigante,
tenero come l’occhio dell’amico
di fronte alla mia sorte.

Il mio cuore raccoglie ogni eco
di ore tristi, di ore liete;
si alternano gioia e sconforto
mentre vago in solitudine.

Scorri, scorri amico fiume,
mai più sarò felice;
così svanirono gaiezza e baci,
e la fedeltà pure.

E tuttavia ho posseduto
una volta tali delizie.
Per proprio tormento, è destino
che mai riesca a scordarle!

Mormora, fiume, lungo la valle,
senza posa, senza requie;
mormora, a questo mio canto
suggerisci le melodie,

quando nella notte d’inverno
trabocca la tua furia,
o lambisci le giovani gemme,
fulgore di primavera.

Beato chi senza alcun odio
si segrega dal mondo,
tiene al petto un essere amico
insieme con lui godendo

di quello che gli uomini ignorano,
o considerare non sanno,
e che pei labirinti del cuore,
di notte, va errando.

***

An den Mond 

Füllest wieder Busch und Tal
Still mit Nebelglanz,
Lösest endlich auch einmal
Meine Seele ganz;

Breitest über mein Gefild
Lindernd deinen Blick,
Wie des Freundes Auge mild
Über mein Geschick.

Jeden Nachklang fühlt mein Herz
Froh- und trüber Zeit,
Wandle zwischen Freud' und Schmerz
In der Einsamkeit.

Fließe, fließe, lieber Fluß!
Nimmer werd' ich froh;
So verrauschte Scherz und Kuß
Und die Treue so.

Ich besaß es doch einmal,
was so köstlich ist!
Daß man doch zu seiner Qual
Nimmer es vergißt!

Rausche, Fluß, das Tal entlang,
Ohne Rast und Ruh,
Rausche, flüstre meinem Sang
Melodien zu!

Wenn du in der Winternacht
Wütend überschwillst
Oder um die Frühlingspracht
Junger Knospen quillst.

Selig, wer sich vor der Welt
Ohne Haß verschließt,
Einen Freund am Busen hält
Und mit dem genießt,

Was, von Menschen nicht gewußt
Oder nicht bedacht,
Durch das Labyrinth der Brust
Wandelt in der Nacht.

lunedì 1 febbraio 2016

Odisseo in Itaca di Lars Forssell

Ulysse et Euryclée, 1849, Gustave Boulanger
Tre volte tre rose
ho scagliato nel mare oggi, quando la corrente
porta via da Itaca.
Tre volte tre colombe
svolazzando hanno preso il volo dalla mia mano.

C’è porpora tanto potente, Calipso,
che qualche oncia può tingere tutto il mare di rosso sanguigno.
A che mi giova allora la distanza
e l’averti sfuggita?

Le sirene ancora allettano nel mio sogno.
E il mare ondeggia.
E il sogno chiama – tempesta
e chiama te.
***
Tre gånger tre rosor
har jag kastat i havet idag,när strömmen
för bort från Ithaca.
Tre gånger tre duvor
har, fladdrande, lyft från min hand.

Det finns purpur så mäktigt, Kalypso,
att några uns därav kan färga hela havet blodrött.
Vad hjälper mig då avstånd
och att jag flydde dig?

Sirenerna lockar än i min dröm.
Och havet svalkar.
Och drömmen ropar – storm
och efter dig.
***
Odysseus på Ithaca

domenica 31 gennaio 2016

La lunga strada di Lawrence Ferlinghetti

Jules Guerin, A Bit of Broadway, Scribner’s 1905

Strada…
Lunga strada
strada del mondo
piena fino in fondo
delle voci del mondo
e a rifletterci, in fondo
anche le voci
di tempi andati: felici
infelici, di vergini di amanti
ingegneri, commercianti
lattai, banchieri, possidenti
massaie pimpanti
pubblicitari e studenti
che parlano parlano e avanti
parlando vanno avanti
sempre avanzanti, e fra i tanti
c’è chi davanti a una finestra si blocca
e scocca sguardi sul mondo
cerca di vedere a fondo
che cosa mai, così in tondo
anzi in un gran girotondo
succede, se succede qualcosa a questo mondo.
Ecco la lunga strada
ch’è la più lunga del mondo
ma non così lunga, in fondo
come pensi… dove pensi che vada?
Va per tutti i paesi e le città
i viali e i boulevards; va
con luce verde o rossa
passa per continenti e villaggi
piogge scroscianti e tramonti
Hong Kong, langhe affamate, paesaggi
di Oakland e dei suoi ponti
Roma fatata, Berlino dei miraggi,
Dublino che non c’è mai stata:
ecco la lunga strada andare
girare intorno al mondo
un treno enorme
informe, gonfio, di fatti
passeggeri bambini
cestini per il pic nic, gatti
e cani e tutti pensano (sic)
chi guida nella prima vettura
che cosa sta succedendo
che c’è nella vettura del comando
e c’è chi addirittura
si affaccia spenzolando
cercando di vedere
ad una curva, il guidatore, che faccia potrà avere
che occhi: ma tant’è…
Nessuno, nessun viaggiatore lo può vedere
anche se si ha netta l’illusione
di una rapida visione
in qualche curva più stretta.
Ecco che la strada si inerpica, rampica
Il treno coi vetri tutti alzati,
serrati, ora, i vetri gli atri
le porte degli abitati
i viali morti del mondo
finestre, palestre, strade
ecco, strade, questa sera del mondo
lampade in tutte le contrade, fanali
luci smorzate
su folle radunate in carnevali,
guizzi, flashes dai finestrini
circhi, soglie disabitate
cantine fontane casini
sfocati lumini per figurine
allacciate danzanti
e ancora mondi, trenini
che stantuffano e sbuffano avanti.
Poi, sì, eccoci, entriamo
nel vicolo fondo, in cui, sappiamo,
svaria la strada, la parte solitaria
della strada e del mondo.
Qui non è permesso
cambiare treno, non possiamo
passare sull’Orient-Express
No, dobbiamo
andare semplicemente fino in fondo
perché questa è la parte di strada di mondo
che non consente
niente, solo che si vada.
ma bada…..da nessuna parte.
Ecco si parte
e non c’è più nessuno
in treno con te, sei uno
non hai nemmeno un vecchio specchio che
faccia due te, non la minima presenza
senza un’anima, o meglio, solo la tua
ma cos’è…….è già la stazione
sei già a destinazione
sei già in porto, spenti
i motori li senti
su andiamo, fuori
sei esanime
muori, quindi coraggio fuori.
Che hai, che ti prende
Sì, sei morto
Non te ne sei accorto?

Alt! Signori si scende.
***

THE LONG STREET

The long street
which is the street of the world
passes around the world
filled with all the people of the world
not to mention all the voices
of all the people
that ever existed
Lovers and weepers
virgins and sleepers
spaghetti salesmen and sandwichmen
milkmen and orators
boneless bankers
brittle housewives
sheathed in nylon snobberies
deserts of advertising men
herds of high school fillies
crowds of collegians
all talking and talking
and walking around
or hanging out windows
to see what’s doing
out in the world
where everything happens
sooner or later
if it happens at all
And the long street
which is the longest street
in all the world
but which isn’t as long
as it seems
passes on
thru all the cities and all the scenes
down every alley
up every boulevard
thru every crossroads
thru red lights and green lights
cities in sunlight
continents in rain
hungry Hong Kongs
untillable Tuscaloosas
Oaklands of the soul
Dublands of the imagination
And the long street
rolls on around
like an enormous choochoo train
chugging around the world
with its bawling passengers
and babies and picnic baskets
and cats and dogs
and all of them wondering
just who is up
in the cab ahead
driving the train
if anybody
the train which runs around the world
like a world going round
all of them wondering
just what is up
if anything
and some of them leaning out
and peering ahead
and trying to catch
a look at the driver
in his one-eye cab
trying to see him
to glimpse his fave
to catch his eye
as they whirl around a bend
but they never do
although once in a while
it looks as if
they’re going to
And the street goes bowling on
with its windows reaching up
its windows the windows
of all the buildings
in all the streets of the world
bowling along
thru the light of the world
thru the night of the world
with lanterns at crossings
lost lights flashing
crowds at carnivals
nightwood circuses
whorehouses and parliaments
forgotten fountains
cellar doors and unfound doors
figures in lamplight
pale idols dancing
as the world rocks on
But now we come
to the lonely part of the street
that goes around
the lonely part of the world
And this is not the place
that you change trains
for the Brighton Beach Express
This is not the place
that you do anything
This is the part of the world
where nothing’s doing
where no one’s doing
anything
where nobody’s anywhere
nobody nowhere
except yourself
not even a mirror
to make you two
not a soul
except your own
maybe
and even that
not there
maybe
or not yours
maybe
because you’re what’s called
dead
you’ve reached your station.

Descend
***
A CONEY ISLAND OF THE MIND (Oral Messages)
Trad. di Vittorio Gassman

sabato 30 gennaio 2016

Gli uomini vuoti di Thomas Stearns Eliot

The Wanderer above the Mists by Caspar David Friedrich (1817
Un penny per il vecchio Guy

I
Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina

Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;

Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati..

II
Occhi che in sogno non oso incontrare
Nel regno di sogno della morte
Questi occhi non appaiono:
Laggiù gli occhi sono
Luce di sole su una colonna infranta
Laggiù un albero ondeggia 

E voci vi sono
Nel cantare del vento
Più distanti e più solenni
Di una stella che si spegne.

Non lasciate che sia più vicino
Nel regno di sogno della morte
Lasciate anche che porti
Travestimenti così deliberati
Pelliccia di topo, pelliccia di cornacchia, doghe incrociate
In un campo
Comportandomi come si comporta il vento
Non più vicino –

Non quel finale incontro
Nel regno del crepuscolo

III
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si va spegnendo. 

E’ proprio così
Nell’altro regno della morte
Svegliandoci soli
Nell’ora in cui tremiamo
Di tenerezza
Le labbra che vorrebbero baciare
Innalzano preghiere a quella pietra infranta.

IV
Gli occhi non sono qui
Qui non vi sono occhi
In questa valle di stelle morenti
In questa valle vuota
Questa mascella spezzata dei nostri regni perduti 

In quest’ultimo dei luoghi d’incontro
Noi brancoliamo insieme
Evitiamo di parlare
Ammassati su questa riva del tumido fiume 

Privati della vista, a meno che
Gli occhi non ricompaiano
Come la stella perpetua
Rosa di molte foglie
Del regno di tramonto della morte
La speranza soltanto
Degli uomini vuoti.

V
Qui noi giriamo attorno al fico d’India
Fico d’India fico d’India
Qui noi giriamo attorno al fico d’India
Alle cinque del mattino.


Fra l’idea
E la realtà
Fra il movimento
E l’atto
Cade l’Ombra

                    Perché Tuo è il Regno 

Fra la concezione
E la creazione
Fra l’emozione
E la responsione 
Cade l’Ombra

                    La vita è molto lunga 

Fra il desiderio
E lo spasmo
Fra la potenza
E l’esistenza
Fra l’essenza
E la discendenza
Cade l’Ombra

                   Perché Tuo è il Regno

Perché Tuo è
La vita è
Perché Tuo è il

E’ questo il modo in cui finisce il mondo
E’ questo il modo in cui finisce il mondo
E’ questo il modo in cui finisce il mondo

Non già con uno schianto ma con un piagnisteo.
***

THE HOLLOW MEN

          A penny for the Old Guy

I
We are the hollow men
We are the stuffed men
Leaning together
Headpiece filled with straw. Alas!
Our dried voices, when
We whisper together
Are quiet and meaningless
As wind in dry grass
Or rats' feet over broken glass
In our dry cellar

Shape without form, shade without colour,
Paralysed force, gesture without motion;

Those who have crossed
With direct eyes, to death's other Kingdom
Remember us—if at all—not as lost
Violent souls, but only
As the hollow men
The stuffed men.

II
Eyes I dare not meet in dreams
In death's dream kingdom
These do not appear:
There, the eyes are
Sunlight on a broken column
There, is a tree swinging
And voices are
In the wind's singing
More distant and more solemn
Than a fading star.

Let me be no nearer
In death's dream kingdom
Let me also wear
Such deliberate disguises
Rat's coat, crowskin, crossed staves
In a field
Behaving as the wind behaves
No nearer—

Not that final meeting
In the twilight kingdom

III
This is the dead land
This is cactus land
Here the stone images
Are raised, here they receive
The supplication of a dead man's hand
Under the twinkle of a fading star.

Is it like this
In death's other kingdom
Waking alone
At the hour when we are
Trembling with tenderness
Lips that would kiss
Form prayers to broken stone.

IV
The eyes are not here
There are no eyes here
In this valley of dying stars
In this hollow valley
This broken jaw of our lost kingdoms

In this last of meeting places
We grope together
And avoid speech
Gathered on this beach of the tumid river

Sightless, unless
The eyes reappear
As the perpetual star
Multifoliate rose
Of death's twilight kingdom
The hope only
Of empty men.

V
Here we go round the prickly pear
Prickly pear prickly pear
Here we go round the prickly pear
At five o'clock in the morning.

Between the idea
And the reality
Between the motion
And the act
Falls the Shadow
For Thine is the Kingdom

Between the conception
And the creation
Between the emotion
And the response
Falls the Shadow
Life is very long

Between the desire
And the spasm
Between the potency
And the existence
Between the essence
And the descent
Falls the Shadow
For Thine is the Kingdom

For Thine is
Life is
For Thine is the

This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a bang but a whimper.

venerdì 29 gennaio 2016

Non smetto mai per così dire di parlare di te eppure l'essenziale è presto detto di Paul Éluard

Bruno Beccaro
Quando l’alba leva gli artigli
E al primo versante di selva
Tra riflessi di brividi
L’abisso delle vette s’apre

Quando a picco ti s’apre la veste
E dà alla luce il corpo tenero
E offre il seno lustrato docile
Seno che mai ha lottato
Ranuncoli tigrati di piombo
Eclissi fatali a chi è forte
Gradi di ermellino immolato
O quando in volto ti turbi

Quel che mi piace del tuo volto è l’apparire
D’un lume ardente in pieno giorno.
***
JE NE CESSE POUR AINSI DIRE PAS DE PARLER DE TOI ET POURTANT J'EN AI TOUJOURS VITE FINI AVEC L'ESSENTIEL

Quand l'aube a montré ses griffes
Et qu'au premier versant boisé
Qui ne reflète que frissons
S'ouvre l'abîme des hauteurs

Quand ta robe s'ouvre à pic
Donnant le jour à ton corps tendre
Offrant tes seins lustrés soumis
Tes seins qui n'ont jamais lutté
Renoncules tigrées de plomb
Eclipses fatales au forts
Degrés d'hermine sacrifiée
Ou quand ton visage se trouble

Ce que j'aime dans ton visage c'est l'arrivée
D'une lampe ardente en plein jour.
*
Traduzione di Franco Fortini

giovedì 28 gennaio 2016

La tomba nel Busento di Giosuè Carducci

William Etty (1787-1849), Hero, Having Thrown herself from the Tower at the Sight of Leander Drowned, Dies on his Body - 1829
Dalle Ballate di 
A.v. Platen
Cupi a notte canti suonano
Da Cosenza su ’l Busento,
Cupo il fiume gli rimormora
Dal suo gorgo sonnolento.
Su e giú pe ’l fiume passano
E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono,
Il gran morto di lor gente.

Ahi sí presto e da la patria
Cosí lungi avrà il riposo,
Mentre ancor bionda per gli omeri
Va la chioma al poderoso!

Del Busento ecco si schierano
Su le sponde i Goti a pruova,
E dal corso usato il piegano
Dischiudendo una via nuova.

Dove l’onde pria muggivano,
Cavan, cavano la terra;
E profondo il corpo calano,
A cavallo, armato in guerra.

Lui di terra anche ricoprono
E gli arnesi d’òr lucenti;
De l’eroe crescan su l’umida
Fossa l’erbe de i torrenti!

Poi, ridotto a i noti tramiti,
Il Busento lasciò l’onde
Per l’antico letto valide
Spumeggiar tra le due sponde.

Cantò allora un coro d’uomini:
— Dormi, o re, ne la tua gloria!
Man romana mai non vìoli
La tua tomba e la memoria! —

Cantò, e lungo il canto udivasi
Per le schiere gote errare:
Recal tu, Busento rapido,
Recal tu da mare a mare.
***
RIME NUOVE
5-6 luglio 1872

mercoledì 27 gennaio 2016

Comunicazione di servizio

stasera ferie....
Winterlandschaft - Raden Saleh, 1830

martedì 26 gennaio 2016

Canto CXVI di Caio Valerio Catullo

The Quartet. 1868. Albert Joseph Moore
Spesso con l'animo del cacciatore
in agguato, pensai di farti avere,
in qualche modo, i carmi di Callìmaco,
per renderti benevolo con me
e sfuggire i tuoi dardi fastidiosi.
Vedo ora che lo sforzo è stato vano,
Gellio, e delusa così ogni preghiera.
Ma i tuoi dardi li svio col mio mantello,
i miei, t'inchioderanno alle tue colpe.
***
Sæpe tibi studioso animo venante requirens 
carmina uti possem mittere Battiadæ,
qui te lenirem nobis, neu conarere 
tela infesta (meum)mittere in usque caput,
hunc video mihi nunc frustra sumptum esse laborem, 
Gelli, nec nostras hic valuisse preces.
contra nos tela ista tua evitamus amictu 
at fixus nostris tu dabi' supplicium.

lunedì 25 gennaio 2016

Homo sum di Vincenzo cardarelli

Romaine Brooks, Peter (A Young English Girl) (c. 1923-1924)
Io pago tutto.
Non c'è peccato
ch'io non abbia finora
debitamente scontato.
Ho un organismo vitale
che vuole, contrariamente
al Diavolo di Goethe,
vuole il Bene e fa il Male.
Pensate quale puntualità
e che liste di conti da saldare.
Ai messi del Signore
l'uscio della mia casa è sempre aperto.
E spesso delle loro intimazioni,
prevenendole,
io stesso senz'attenderli
mi faccio esecutore.
Sì che quand'essi giungono
ritto sull'uscio li fermo
e li rimando dicendo:
Amici, sono anch'io
cursore e complice di Dio.
Che dunque venite a fare
se il debito è già pagato ?
Forse è perciò che una donna cattiva
suole dire celiando
ch'io sono un santo e innanzi di morire
farò miracoli.
Talvolta infatti io mi vedo come uno
di quei poveri santi
che sulle tele delle sacrestie
stanno in adorazione della Vergine,
inutilmente aspettando
un suo sguardo.
Ma vi dico, in verità,
che volentieri darei, se pur l'avessi,
una tanto gloriosa vocazione
per un poco d'allegra umanità.

domenica 24 gennaio 2016

Ben lungi di qui di Charles Baudelaire

Enrico Lionne, Sogni - 1913
É la sacra capanna: qui la bella 
fanciulla ricoperta d'ornamenti, 
tranquilla, sempre pronta, con la mano 
ventilandosi il seno, e sui cuscini,
il gomito posando, ascolta il pianto 
delle fontane.

Di Dorotea è la camera: la brezza
e l'acqua le riportano da lungi
una canzone rotta da sighiozzi
che culla questa bimba viziata.

Dall'alto al basso, con estrema cura, 
la delicata pelle è strofinata 
con benzuino e olii profumati.

In un canto svaniscono dei fiori.
***

Bien loin d'ici

C'est ici la case sacrée
Où cette fille très-parée,
Tranquille et toujours préparée,

D'une main éventant ses seins,
Et son coude dans les coussins,
Écoute pleurer les bassins:

C'est la chambre de Dorothée.
— La brise et l'eau chantent au loin
Leur chanson de sanglots heurtée
Pour bercer cette enfant gâtée.

Du haut en bas, avec grand soin.
Sa peau délicate est frottée
D'huile odorante et de benjoin.
— Des fleurs se pâment dans un coin.*
I FIORI DEL MALE
Supplemento

sabato 23 gennaio 2016

Blues della mattina d'inverno di Stefano Benni

The Umbrellas, Pierre-Auguste Renoir, c. 1883
Vai in questa
nebbia grigia schiuma di lavasecco
tra Topsy bar Billy bar Ringo bar
equivoci bar di periferia
con l'uomo scuro che fuma sulla porta
e puttane infiocchettate come
le vetrine di profumiere a Natale
un bus sadico che scappa e si fa
rincorrere da vecchie zoppe
bambini col muso di scimmia li vedo
entrare imprecando in una galera
di cubi gialli la chiamano scuola
con nanetti e daini dipinti sui muri
e scritte BR e Rinaldi è un busone
scritto a spray enorme blu come
le scritte della stazione che è
(chi lo ricorda?) saltata su in agosto

Ma adesso è inverno, e io vado
ad aspettare sentenze ai gabinetti d'analisi
in un angolo, pieno di freddo e medicine
nell'attesa con questa giacca a vento
rossa con lo stemma che mi hai regalato tu
e ascolto Africa di Nina Hagen
a una radio di una macchina
ferma a un semaforo, gelato, e poi
gettono sempre i Rolling Stones
e ballo attraverso i vetri sporchi
di un posto dove si mangiano panini
con polpette di animale morto
in circostanze poco chiare
delitti nello squallido mondo
degli insaccati. Ieri poi è partita una
che non ti fa entrare nel dancing
luminoso dei suoi denti. Non vuole
baci, per Dio, solo scopare insomma
e sul più bello alla finestra è spuntato
il suo fidanzato incazzato vestito
da Babbo Natale. Bestiale.
Natale è un bancario che ha
la casa piena di dischi. Ha i baffi
ed è triste perchè è morto Lennon. Dice
che è finita la musica utopica. Orca!
Maurizio è tornato da New York
dice che là è freddo cold come qua
tira la coca tira le palle di neve
il comune libera le strade
dai drogati e dai blocchi gelati
e pigliamo la broncopolmonite
per vedere una brunetta che
alle due di notte si spoglia
a un sesto piano.Tutto ciò
è molto, ma molto americano
Col fumo che dalla bocca va su
uguale a Bologna Frisco e Milano
coi tassisti isterici e i fanali rossi
e una goccia di gelo sulla punta delle scarpe
e bocche voluttuose che succhiano le sciarpe
e immaginare Mongo città d'un pianeta
sempre nella nebbia, e Gino il marinaio
che con la mano gonfia mi fa
secondo me Stampax dovresti anche tu
farti qualche pera. Ciano è in galera
aveva una bella faccia da indiano
e i capelli rasati. Domani forse
sparo a qualcuno. Oppure mi compro
guanti di lana rossa per poter salutare
nella nebbia, anche da lontano.
***
da PRIMA O POI L'AMORE ARRIVA

venerdì 22 gennaio 2016

In verità questo grande amore è il mio vanto

Constant Mayer, - Love’s Melancholy, 1866
In verità questo grande amore è il mio vanto,
che, quando sale dal petto alla fronte,
mi incorona di porpora tanto
da attirare gli occhi degli uomini e mostrare la sofferenza interiore, –
anche se questo amore, per me è il massimo
non dovrei tuttavia amare, finché tu
non mi abbia dato una prova, e raccontato di
quando per la prima volta i tuoi occhi sinceri si sono incrociati con i miei,
e l’amore chiamò l’amore. E perciò, non posso nemmeno
parlare d’amore, come qualcosa di bello che mi è proprio
la tua anima ha reso la mia, completamente debole e incerta,
e l’ha posta accanto a te su un trono d’oro, –
E quello che amo (O anima, dobbiamo essere pazienti!)
è solo in te, il solo che amo.***
Indeed this very love which is my boast,
And which, when rising up from breast to brow,
Doth crown me with a ruby large enow
To draw men's eyes and prove the inner cost,---
This love even, all my worth, to the uttermost,
I should not love withal, unless that thou
Hadst set me an example, shown me how,
When first thine earnest eyes with mine were crossed,
And love called love. And thus, I cannot speak
Of love even, as a good thing of my own:
Thy soul hath snatched up mine all faint and weak,
And placed it by thee on a golden throne,---
And that I love (O soul, we must be meek!)
Is by thee only, whom I love alone.*
SONETTI DEL PORTOGHESE XII

giovedì 21 gennaio 2016

Er giorno der giudizzio di Giuseppe G. Belli

The Light of the World by William Holman Hunt, 1851-1852
Cuattro angioloni co le tromme in bocca
se metteranno uno pe cantone
a ssonà: poi co ttanto de voscione
cominceranno a ddì: ffora a cchi ttocca.

Allora vierà ssu una filastrocca
de schertri da la terra a ppecorone,
pe rripijjà ffigura de perzone,
come purcini attorno de la bbiocca.

E sta biocca sarà ddio bbenedetto,
che ne farà du' parte, bbianca, e nnera:
una pe annà in cantina, una sur tetto.

All'urtimo usscirà 'na sonajjera
d'Angioli, e, ccome si ss'annassi a lletto,
smorzeranno li lumi, e bbona sera. *
Sonetti

mercoledì 20 gennaio 2016

Dolce musica di Charles Bukowski

L’écuyère 1920 Kees van Dongen
è meglio dell'amore perchè non 
ti ferisce: al mattino
lei accende la radio, Brahms o Ives
o Stravinskij o Mozart. fa bollire le
uova contando a voce alta i secondi: 56,
57, 58… le pela,
me le porta a letto, dopo colazione sulla
stessa sedia ascolta musica
classica, è al primo
scotch e alla terza sigaretta. le dico
che devo andare alle corse. è qui
da circa 2 notti e 2 giorni. «quando
ti rivedo?» chiedo. insinua che
dipenda da me. Annuisco
e alla radio c’è Mozart.
***
Sweet Music

it beats love because there aren't any
wounds: in the morning
she turns on the radio, Brahms or Ives
or Stravinsky or Mozart. she boils the
eggs counting the seconds out loud: 56,
57, 58... she peels the eggs, brings
them to me in bed. after breakfast it's
the same chair and listen to the class-
ical music. she's on her first glass of
scotch and her third cigarette. I tell
her I must go to the racetrack. she's
been here about 2 nights and 2 days. "when
will I see you again?" I ask. she
suggested that might be up to me. I
nod and Mozart plays.
***
da L'amore è un cane che viene dall'inferno

martedì 19 gennaio 2016

l'intellettuale di Charles Bukowski

Wladyslaw Slewinski (1856-1918), Portret Kobiety z rudymi Wlosami - 1897 1900
lei scrive
continuamente
come un lungo diffusore
che spruzza
aria,
e lei discute
continuamente;
non c'è nulla che
io possa dire
che in realtà non sia
qualcos'altro,
così
smetto di parlare;
e alla fine
lei litiga da sola
mentre esce dalla porta
dicendo
qualcosa come -
non sto cercando di
far colpo
su di te.

ma so
che
tornerà, tornano
sempre.

e
alle 5 del pomeriggio
era lì che bussava alla porta.

l'ho lasciata entrare.

non mi fermo molto, ha detto,
se non mi vuoi.

fai pure. ho detto,
devo fare il
bagno.

è andata in cucina e
ha cominciato con i
piatti.

è come essere sposati:
accetti
tutto
come se
non fosse successo.
***

lunedì 18 gennaio 2016

Le dolorose pene di Noffo Bonaguide

Backround Of Pale Gold, Eleanor Fortescue Brickdale
Le dolorose pene, che 'l meo core 
porto mi fanno sì forte languire, 
e nascon del penser ch' ho del partire, 
celar nol posso, sì- mmi strugge amore. 

S'alquanto non m' aiuta lo valore 
e la speranza del tosto reddire, 
viver non posso portando 'l martire 
nascoso sì ch'orma' mor' di dolore. 

Però gli mostro, gentil donna mia, 
per dogliosi sospiri o per parlare 
e sgraverò la mente ch' è affannata. 

E gli occhi con amaro lagrimare 
si sfogheranno il cor, ma consumata 
ed angosciosa la mia vita fia.
*
da Poesie dello Stilnovo

domenica 17 gennaio 2016

Oh avere la voce di un falconiere (Giulietta e Romeo) di William Shakespeare

Edward Reginald Frampton
GIULIETTA: Pss! Romeo, pss! Oh avere la voce di un falconiere per richiamare a me quel mio falchetto reale. 
Roca è la voce della clausura e non può farsi sentire, se no, saprei ben io forzar l'antro
dove Eco riposa e far la sua voce aerea più fioca della mia a forza di ripetere il nome del mio Romeo.

ROMEO: L' anima mia è quella che ora invoca il mio nome. Oh come la notte dà un dolce tintinnio d'argento alla voce degli amanti: musica soavissima all'orecchio che, avido ascolta.
***
Hist! Romeo, hist! O for a falc’ner’s voice
To lure this tassel gentle back again!
Bondage is hoarse and may not speak aloud,
Else would I tear the cave where Echo lies
And make her airy tongue more hoarse than
With repetition of “My Romeo!”
ROMEO:
How silver-sweet sound lovers’ tongues by night,
Like softest music to attending ears!

sabato 16 gennaio 2016

Frank Drummer di Edgar Lee Masters

Charles-Hawthorne
Out of a cell into this darkened space -
The end at twenty-five!
My tongue could not speak what stirred within me,
And the village thought me a fool.
Yet at the start there was a clear vision, 5
A high and urgent purpose in my soul
Which drove me on trying to memorize
The Encyclopedia Britannica! 
***
Da una cella a questo luogo oscuro -
la morte a venticinque anni!
La mia lingua non poteva esprimere ciò che mi si agitava dentro,
e il villaggio mi prese per scemo.
Eppure all'inizio c'era una visione chiara,
un proposito alto e pressante, nella mia anima,
che mi spinse a cercar d'imparare a memoria
l'Enciclopedia Britannica!

da ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

trad. di Fernanda Pivano

venerdì 15 gennaio 2016

GARE DU MIDI di Wystan Hugh Auden

Władysław Podkowiński (1866-1895) Chopin's Funeral March 1894

Un espresso qualunque dal Sud, folla
verso l’uscita, una faccia che il sindaco
non accoglie con nastri e con fanfare:
qualcosa intorno alla bocca distrae
l’occhio vagante con allarme e pena.
Cade la neve. In pugno una cartella,
esce svelto a infettare una città
il cui disastro forse è già arrivato.
***
A nondescript express in from the South,
Crowds round the ticket barrier, a face
To welcome which the mayor has not contrived
Bugles or braid: something about the mouth
Distracts the stray look with alarm and pity.
Snow is falling. Clutching a little case,
He walks out briskly to infect a city
Whose terrible future may have just arrived.
*
da ANOTHER TIME 1940

giovedì 14 gennaio 2016

Una voce di Amalia Guglieminetti

Adagio (c.1929). Georges Antoine van Zevenberghen
Una voce nell'ombra ha qualche volta 
la morbidezza calda d'una cosa 
tangibile. Non s'ode, non s'ascolta, 

ma sul cuor che l'accoglie quasi posa 
le sue parole ad una ad una, come, 
quando langue, le sue foglie una rosa. 

Se invoca piano, in ansia, un caro nome 
par che vi tremi il mal represso ardore 
d'un bacio non osato fra le chiome. 

E di soverchia intensità essa muore 
soffocata ed il pianto che l'assale 
sembra il principio dolce dell'amore, 

ed è l'inizio acerbo del suo male.
*
da Le Seduzioni-Le Vergini Folli

mercoledì 13 gennaio 2016

Ancora Arianna di Rosemary Catacalos

Marcus Stone (1840-1921), The Soldier’s Return - 1900
Il filo, tu dici, che ho liberato inutilmente,
svolgendolo, avvolgendolo, per imbarazzarti.
per confonderti.
No, ti prego credimi.
Questo filo non è un gioco.
Ha lo stesso ritmo del mio respiro.
Con esso filo giorno e notte
finchè stordita la ruota m’abbandona.
Fatico e divento quasi cieca
ad ogni garbuglio e nodo.
Sanguinano le dita sul telaio
per tutti questi sforzi. Per costruire
quest’amore offro
un tessuto adatto al mondo
qualcosa da indossare con orgoglio.
***
AGAIN ARIADNE
The thread you say I've loosened idly,
reeling out, reeling in, to tease you,
confuse you.
No, please believe me.
This thread is not a game.
It has the same rhythm as my breathing.
I spin with it day and night
until the wheel leaves me dizzy.
I suffer and nearly go blind
With every knot and tangle.
My fingers bleed all over the loom
from so much trying. To make
this love I give
a fit cloth for the world,
something to wear proudly.
*
da SOTTO IL QUINTO SOLE
Antologia di poeti chicani

martedì 12 gennaio 2016

Fanciullezza lontana di Giovanni Prati

A Basket of Oranges by Edward Robert Hughes, 1878
Fanciul, nel verno dalle usate stalle
tornando a notte alla materna sede,
divoravo la via come chi a spalle
la maga, il morto o l'assassin si vede.

Or vo notturno per qualunque calle,
né il cor mi trema o mi vacilla il piede:
ché ai sogni uditi nella patria valle
la vecchia fantasia più non dà fede.

Ma là m'intesi favellar pur anco
d'un gran mondo di glorie e di dottrina
e per vederlo uscii dalle mie rive.

Or l'ho veduto: e pellegrin già stanco
ne narro l'odissea, ma a testa china,
ché il fanciul d'una volta, ahi! più non vive.
***
Psiche
*
da UN SECOLO DI POESIA

lunedì 11 gennaio 2016

La neve è alla montagna, l'inverno s'avvicina di Paolo Rolli

Pietro Rotari
La neve è alla montagna,
l'inverno s'avvicina;
bellissima Nerina,
che mai sarà di me?

I giorni brevi e rigidi,
le notti aspre e lunghissime,
come potrò mai vivere,
cara, lontan da te?

O la noiosa pioggia,
o l'aer freddo ingrato,
di gire al colle e al prato,
mio ben, t'impedirà:
e il mio desir che pàscesi
sol di tua vista amabile,
dove mirar solevati,
in van mi guiderà.

Quel faggio che tant'aria
co' verdi rami ingombra
e tanto suol con l'ombra,
le frondi perde già:
l'ore soavi e rapide
ch'ei ne coprí dal fervido
altissimo meriggio,
sol ne rammenterà.

La selva, oh ciel! la selva
che sí spesso ne accolse
quando per noi si svolse
bel tempo di piacer,
o dalle nevi carica
vedremo curva gemere,
o d'aquilone l'impeto
appena sostener.

Oh se la mia capanna
in qualche dì festoso
potesse dar riposo
al tuo leggiadro piè!
D'alghe tessuta e vimini
sia pur campestre e rustica;
non vi sarìa delizia
altra maggior per me.

Perché dal freddo acuto
non fossero toccate
tue membra dilicate
tutte spiranti amor,
potrei sul caldo cenere
aride legna ad ardere
con rami di giunipero
e piante d'altro odor.

M'accorsi ove sta un lepre
nel cespo d'una balza,
all'alito che s'alza
qual nebbia sul mattin:
so come vivo prenderlo
e ch'ami di serbartelo;
sì potess'io far cambio
del mio col suo destin.

Un candido capretto
che sugge latte ancora,
farò svenar allora
e cuocer tutto intier:
entro a schidon di frassino
sovra la brace a volgerlo
ci penserà Massilïo,
di capre condottier.

Angusta botte ho piena
di vino generoso,
amabile, odoroso,
e vo' forarla allor;
e di radice d'acero
ho due ben fatte ciotole,
che a nuova sete invitano
labbra già sazie ancor.

Ninfa o pastore ad esse
non appressò la bocca:
s'una la tua ne tocca,
la prima ella sarà:
dell'altra il dono accettane:
quell'una io vo' serbarmela,
né ad altri che a me proprio
i labbri bagnerà.

Soave condimento
daran la tua bellezza,
la grazie e la dolcezza,
a quanto io possa dar:
e i Numi allor, che gustano
in ciel l'ambrosia e il nettare,
il desco e il mio tugurio
potranno invidiar.
*
da LE RIME DEGLI ARCADI