Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

giovedì 31 maggio 2007

Il gatto di Baudelaire

Franco Gentilini
IL GATTO
Vieni, mio bel gatto,
sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l'agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere

la tua testa e il tuo dorso elastico
e la mia mano s'inebria del piacere
di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.

Il suo sguardo, profondo
e freddo come il tuo,
amabile bestia,
taglia e fende simile a un dardo,
e dai piedi alla testa
un'aria sottile,

un temibile profumo ondeggiano
intorno al suo corpo bruno.

mercoledì 30 maggio 2007

Dove la luce di Giuseppe Ungaretti

DOVE LA LUCE
da IL SENTIMENTO DEL TEMPO - da LEGGENDE
Come allodola ondosa

Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del male e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.
Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.
L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo.
1930
(dipinto di Curran)

martedì 29 maggio 2007

Rigoglio di Juan Ramon Jimenez

Eugene De Blaas
Rigoglio sta con me! Ma la primavera,
rinnovando lo sfondo
della sua fuga, ripete
la sua fuga nel presente.
E l'immagine del mio amore
se ne va, inseguita
dal mio vivo ricordo, con l'anima
di lei, di cui resta
il corpo, vano, col mio corpo
vano!

lunedì 28 maggio 2007

Canto General di Pablo Neruda

al mio amico Gronde...
Pablo Neruda
CANTO GENERAL
Appena squillò la tromba,

tutto era pronto sulla terra,
e Geova divise il mondo
tra Coca-Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors, e altre società:
la Compagnia United Fruit
si riservò la parte piú succosa,
la costa centrale della mia terra,
la dolce cintura d’America.
Ribattezzò le sue terre
“Repubbliche Banane”,
e sopra i morti addormentati,
sopra gli inquieti eroi
che conquistarono la grandezza,
la libertà e le bandiere,
instaurò l’opera buffa:
cedette antichi benefici,
regalò corone imperiali,
sguainò l’invidia,
e chiamò la dittatura delle mosche,
mosche Trujillo,
mosche Tacho,
mosche Carías,
mosche Martínez,
mosche Ubic,
mosche umide
d’umile sangue e marmellata,
mosche ubriache
che ronzano sopra le tombe popolari,
mosche da circo,
sagge mosche esperte in tirannia.
Tra le mosche sanguinarie
sbarca la Compagnia stipando di caffè e frutta
le sue navi che poi scomparvero
come vassoi con il tesoro
delle nostre terre sommerse.
Frattanto, entro gli abissi
pieni di zucchero dei porti,
cadevano indios
sepolti dal vapore del mattino:
rotola un corpo,
una cosa senza nome,
un numero caduto,
un grappolo di frutta
morta finita nel letamaio.

domenica 27 maggio 2007

Tu mi rimproveri di Bartolomeo di Monaco

Paul Gauguin*Suzanne
A Raffaella
Tu mi rimproveri
perché non ti dico più spesso
ti amo,
ma nessuna cosa al mondo
amo più di te.
Quando coi tuoi giochi
mi tratti da bambino
o quando ai nostri figli,
indicandomi, dici:
ecco l'orso della casa;
quando, fuggita dai tuoi, troppo brontoloni,
vieni a sederti accanto a me
e parli della tua Inghilterra,
del Galles o della dolce Scozia selvaggia,
o quando, mentre ascolto il telegiornale,
invadi la stanza con la tua voce
e più non sento nulla
e ti faccio il gesto supplicante
di tacere,
oh sì, io ti amo
e nessun amore è così ficcante,
così caldo,
così odoroso;
o quando nuda giri per la casa,
ma nuda per davvero
come un'eterna diciottenne,
e vieni a servirci la colazione
e i nostri figli ti guardano e sorridono,
oh potessi donarti il mondo
per questa tua allegria!
La mia mente ritrova te, sempre;
nei momenti di smarrimento
sei tu che mi fai risorgere:
quando ti conobbi giovane e bella
e mi apparisti all'improvviso
davanti al negozio di fiori,
tu la rosa più splendida,
ed io sentii di averti trovata,
donna dei mie sogni,
della mia adolescenza felice.
Tu mi rimproveri
perché non ti dico più spesso
ti amo,
ma nessuna cosa al mondo
amo più di te,
ed il mio è l'amore senza parole,
quello che leggi negli occhi,
che vibra nel corpo
quando sento la tua voce,
nelle mani calde
quando le stringo a te.
Nessuna cosa al mondo
amo di più,
e lo sa il vento
che ci carezza sulla collina
a sera
e noi nel silenzio ascoltiamo
l'usignolo;
lo sa il bosco che ci conobbe
coi nostri figli vocianti,
e i grandi pini odorosi
che ci aspettavano,
i nostri visi all'insù,
rivolti alle chiome giganti.
Non potrei vivere senza di te,
se mi lasciasse la memoria
di ciò che sei stata e sei
ancora oggi.
Tu mi rimproveri
perché non ti dico più spesso
ti amo,
ma nessuna cosa al mondo
amo più di te.
13 marzo 1988

sabato 26 maggio 2007

Primavera di Emily Dickinson

J.W. Godward*1912
Non so incontrare la Primavera
- con distacco
-Sento l'antico desiderio
-Un'Urgenza a un protrarsi,
mescolata,
Una Licenza d'esser bella
- Una Competizione nei miei sensi
Con qualcosa, nascosta in Lei
-E quando svanisce,
il Rimorso
Di non aver visto di più di Lei -
+++++++
I cannot meet the Spring
- unmoved
-I feel the old desire
-A Hurry with a lingering,
mixed,
A Warrant to be fair
- A Competition in my sense
With something, hid in Her
-And as she vanishes,
Remorse
I saw no more of Her -

venerdì 25 maggio 2007

Epitaffio per Bice di Salvatore Quasimodo

EPITAFFIO PER BICE DONETTI
con gli occhi alla pioggia e agli elfi della notte,
è là, nel campo quindici a Musocco,
la donna emiliana da me amata
nel tempo triste della giovinezza.
Da poco fu giocata dalla morte
mentre guardava quieta il vento dell'autunno
scrollare i rami dei platani
e le foglie dalla grigia casa di periferia.
Il suo volto è ancora vivo di sorpresa,
come fu certo nell'infanzia,
fulminato per il mangiatore di fuoco
alto sul carro.
O tu che passi, spinto da altri morti,
davanti alla fossa undici sessanta,
fermati un minuto a salutare
quella che non si dolse mai
dell'uomo che qui rimane,
odiato, coi suoi versi,
uno come tanti, operaio di sogni. ù
Il dipinto è Beatrice di Redon

giovedì 24 maggio 2007

Bellezze di Corrado Govoni

Greiffenhagen*An idyll
Il campo di frumento è così bello
solo perché ci sono dentro i fiori di papavero e di veccia;
ed il tuo volto pallido perché
è tirato un poco indietro dal peso della lunga treccia.

mercoledì 23 maggio 2007

Cosi' per colpa tua di Catullo

Godward*In the days of Sappho
Così per colpa tua, mia Lesbia,
mi è caduto il cuore
e così si è logorato
nella sua fedeltà,
che ormai non potrebbe più volerti bene
anche se fossi migliore
o cessare d'amarti per quanto tu faccia.

martedì 22 maggio 2007

Anch'io sono l'America di L.Hughes

Motley
Anch’io canto l’America.
Io sono il fratello più scuro.
Mi mandano a mangiare in cucina
Quando vengono ospiti,
ma io rido
e mangio bene
e divento forte.
Domani,
siederò a tavola
quando vengono gli ospiti.
Allora
Nessuno oserà
Dire di me
E poi,
vedranno come sono bello
e si vergogneranno:
anch’io sono l’America.

lunedì 21 maggio 2007

Compianto per Ignazio Sanchez Mejias di F.G.Lorca

Sir Lawrence Alma Tadema*Interno Chiesa di San Clemente-Roma
4 • Anima assente
Non ti conosce il toro,
non il fico, né cavalli
o formiche della casa.
Non ti conosce il bimbo
né la sera perché
per sempre tu sei morto.
Non ti conosce il dorso della pietra,
né il raso nero dove ti distruggi.
Non ti conosce il tuo muto ricordo
perché per sempre tu sei morto.
E l'autunno verrà con le sue chiocciole,
l'uva di nebbia e i monti asserragliati,
ma nessuno vorrà guardarti gli occhi
perché, per sempre, tu sei morto.
Perché, per sempre tu sei morto,
come tutti i defunti della terra,
come tutti i defunti abbandonati
in un mucchio di cani senza vita.
Nessuno ti conosce.
Eppure io ti canto.
Canto per il futuro la tua grazia e il profilo,
la tua maturità insigne del sapere,
la tua brama di morte
e il gusto del suo labbro,
la tristezza che aveva la tua gioia gagliarda.
Tarderà molto a nascere,
se pure nascerà,
un più schietto andaluso,
sì ricco d'avventura.
Canto la sua eleganza
con parole che gemono
e ricordo una brezza triste nell'uliveto.
***
A scanso di equivoci, nonostante la struggente elegiaca bellezza della poesia, io tifo sempre per il toro!

domenica 20 maggio 2007

Compianto per Ignazio Sanchez Mejias di F.G.Lorca

Richmond*Electra
3 • Corpo presente
È la pietra una fronte su cui gemono i sogni,
senz'acqua che si curvi né cipressi gelati.
Una spalla è la pietra per trasportare il tempo
con alberi di lacrime e con nastri e pianeti.
Ho visto piogge grigie correre incontro ai flutti,
sollevando le tenere lor braccia crivellate,
per non esser braccate dalla pietra distesa
che le membra disintegra senza assorbire il sangue.
Giacché la pietra coglie le semenze e le nubi,
gli scheletri di allodole e i lupi di penombra;
ma non offre dei suoni né cristalli né fuoco,
ma solo arene e arene, e arene senza muri
Giace ormai sulla pietra Ignazio uomo eletto.
È ormai finito; ed ora?
Guardate la figura:
la morte l'ha velato di dilavati zolfi
e gli ha messo una testa d'oscuro minotauro.
Tutto è finito.
Penetra la pioggia nella bocca.
Folle il vento abbandona il suo petto consunto,
e l'Amore, impregnato di lacrime gelate,ù
si scalda sulla cima delle stalle taurine.
Che dicono?
Un silenzio putrescente ristagna.
Eccoci con un corpo presente che si esala,
con una forma tersa, nido già d'usignoli,
che vediamo infittirsi di buchi senza fondo.
Chi sgualcisce il sudario?
È, falso quel che dice!
Qui nessuno che canti o pianga nel cantuccio
o conficchi gli sproni o cacci via il serpente:
altro qui non desidero che gli occhi spalancati
per veder questo corpo senza requie possibile.
Qui uomini di dura voce io voglio vedere,
che domano cavalli e dominano i fiumi:
uomini cui risuona lo scheletro
e cantando vanno con una bocca piena di sole e selci.
Io qui voglio vederli.
Davanti a questa pietra,
davanti a questo corpo con le redini rotte.
Io voglio che mi mostrino dov'è lo sbocco estremo
per questo capitano ancorato alla morte.
Io voglio che mi mostrino un pianto
come un fiume ricco di dolci nebbie e profonde riviere,
per trasportare il corpo d'Ignazio,
e che si perda senza ascoltare il doppio ansimare dei tori.
Si perda nell'arena rotonda della luna che sembra,
quando cresce, dolente bestia immobile;
si perda nella notte senza canto dei pesci
e nel pruneto bianco del fumo congelato.
Non voglio che gli coprano con fazzoletti il viso,
in modo che s'abitui alla morte che reca.
Vattene, Ignazio.
Il caldo bramito non ti dolga.
Dormi, vola, riposa.
Anche il mare perisce!

sabato 19 maggio 2007

Compianto per Ignazio Sanchez Mejias di F.G.Lorca

Edouard Manet
2 • Il sangue sparso
Non voglio vederlo! Dì alla luna che si mostri;
non voglio vedere
il sangue d'Ignazio sopra l'arena.
Non voglio vederlo!
È spalancata la luna.
Cavallo di calme nubi
e circo grigio del sogno
con salici in prima fila.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Avvisate i gelsomini
di minuscolo candore!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la triste sua lingua
sopra un muso di grumi di sangue
in terra versato.
Ed i tori di guisando,
quasi morte e quasi pietra,
mugghiaron come due secoli
sazi di premere il suolo.
No.
Non voglio vederlo!
Sale Ignazio sui gradini,
tutta la sua morte a spalla.
Andava in cerca dell'alba
e l'alba non esisteva.
Cerca il suo fermo profilo
e il sogno lo disorienta.
Il suo bel corpo cercava
e trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il getto
che sempre più s'affioca;
il getto che le tribune illumina
e si riversa sopra il fustagno ed il cuoio,
della folla sitibonda.
Chi mi grida di mostrarmi!
Non ditemi di vederlo.
Non si chiusero i suoi occhi
nel vedersi lì le corna;
ma le terribili madri
rizzarono allora il capo.
Ed attraverso gli allevamenti
corse un vento di voci segrete,
a tori celesti gridate da mandriani
di pallida nebbia.
Non principe di Siviglia potrebbe essergli pari,
né spada come la sua né cuore del suo più vero.
Come un fiume di leoni il suo stupendo vigore,
e come un torso di marmo
la sua lineata saggezza.
Aria di Roma andalusa
gli dorava la testa
dove il suo riso era un nardo
di sale e d'intelligenza.
Che gran torero in arena!
Che buon montanaro ai monti!
Quanto mite con le spighe!
Quanto duro con gli sproni!
Tenero con la rugiada!
Che bagliore nella fiera!
Quanto tremendo con l'ultime banderillas
della tenebra!
Ma ora dorme in eterno.
Ora i muschi e l'erba dischiudono
con loro dita sicure il fiore del suo teschio.
E il suo sangue ora viene cantando:
cantando per maremme e praterie,
sdrucciolando su corna intirizzite;
senz'anima vacilla nella nebbia.
In migliaia di zoccoli inciampando
come una lunga, oscura, triste lingua,
per formare una pozza d'agonia
presso il Guadalquivir del firmamento.
Oh bianco muro di Spagna!
Oh nero toro di pena!
Oh sangue duro d'Ignazio!
Oh usignolo delle sue vene!
No.
Non voglio vederlo!
Un calice non v'è che lo contenga,
non vi son rondinelle che lo bevano,
non v'è brina di luce che lo geli,
non di gigli v'è canto né diluvio,
non cristallo che lo copra d'argento.
No.
Io non voglio vederlo!!

venerdì 18 maggio 2007

Compianto per Ignazio Sanchez Mejias di F.G.Lorca

Apperley*Cordobesa
I • La cornata e la morte
Alle cinque della sera.Eran le cinque in punto della sera
Un ragazzo portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una cesta di calce era già pronta
alle cinque della sera.
Tutto il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera.
Le ovatte rotolarono nel vento
alle cinque della sera.
D'ossido seminati il vetro e il nichel
alle cinque della sera.
La colomba e il leopardo ecco che lottano
alle cinque della sera.
E una coscia col corno distruttore
alle cinque della sera.
Il ritmo cominciò di gravi note
alle cinque della sera.
Le campane d'arsenico e di fumo
alle cinque della sera.
Negli angoli dei gruppi silenziosi
alle cinque della sera.
E il toro solo, con il cuore in alto!
alle cinque della sera.
Quando il sudore gelido arrivò
alle cinque della sera,
quando l'arena si coprì di iodio
alle cinque della sera,
la morte mise uova nello squarcio
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Alle cinque in punto della sera.
Il suo letto è una bara con le ruote
alle cinque della sera.
Ossa e flauti risuonano al suo udito
alle cinque della sera.
Il toro gli muggiva sulla fronte
alle cinque della sera.
La stanza s'iridava d'agonia
alle cinque della sera.
Ecco, viene da lungi la cancrena
alle cinque della sera.
Tromba d'un iris nei suoi verdi inguini
alle cinque della sera.
Ardevan le ferite come soli
alle cinque della sera,
e la folla rompeva le finestre alle
cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Ahi, terribili cinque della sera!
Eran le cinque a tutti gli orologi!
Eran le cinque all'ombra della sera!

giovedì 17 maggio 2007

Lesbia di Catullo

Sir Lawrence Alma Tadema
Col marito Lesbia mi travolge d'ingiurie
e quello sciocco ne trae una gioia profonda.
Stronzo, non capisci?
tacesse, m'avrebbe dimenticato,
sarebbe guarita,
invece sbraita e m'insulta:
non solo ricorda,
ma cosa ben più grave è furente.
Brucia d'amore, per questo parla.

mercoledì 16 maggio 2007

Dicevi o Lesbia di Catullo

Bouguereau/Zephiro e Flora
Dicevi di far l'amore solo con me,
una volta, e di non aver voglia, Lesbia,
neppure di Giove.
E io ti ho amato
non come tutti un'amante,
ma come un padre ama
ognuno dei suoi figli.
Ora so chi sei:
e anche se più intenso è
il desiderio ti sei ridotta
per me sempre più insignificante e vile.
Come mai, mi chiedi?
Queste offese costringono, vedi,
ad amare di più, ma con minore amore.

martedì 15 maggio 2007

C'è un altro cielo di Emily Dickinson

Frederick Childe Hassam*1891
C'è un altro cielo,
sempre sereno e bello,
e c'è un'altra luce del sole,
sebbene sia buio là
-non badare alle foreste disseccate, Austin,
non badare ai campi silenziosi
-qui è la piccola foresta
la cui foglia è sempre verde
-qui è un giardino più luminoso
-dove il gelo non è mai stato,
tra i suoi fiori
mai appassiti
odo la luminosa ape ronzare,
ti prego, Fratello mio,
vieni nel mio giardino!
***
There is another sky, ever serene and fair, and there is another sunshine, tho' it be darkness there -never mind faded forests, Austin, never mind silent fields -here is a little forestwhose leaf is ever green -here is a brighter garden -where not a frost has been, in it's unfading flowers I hear the bright bee hum, prithee, my Brother, into my garden come!

lunedì 14 maggio 2007

Solo con te di Catullo

Sir Lawrence Alma Tadema
Solo con te farei l'amore,dice la donna mia,
solo con te,
anche se mi volesse Giove.
Dice: ma ciò che dice una donna
a un amante impazzito
devi scriverlo sul vento, sull'acqua che scorre.

domenica 13 maggio 2007

La madre di Giuseppe Ungaretti



La madre
Giuseppe Ungaretti (1929)
E il cuore quando d'un ultimo battito

avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
(dipinto di Mary Cassatt)

sabato 12 maggio 2007

E' primavera Catullo

Bouguereau*Spring
È primavera,
tornano i giorni miti
e la brezza leggera dello zefiro
spegne nel cielo la furia dell'inverno.
Lasciamo i campi della Frigia, Catullo,
le pianure fertili e afose di Nicea;
via in volo per le città luminose dell'Asia.
Irrequieto ti brucia una febbre di andare
e nel desiderio ritrovi la tua forza.
Addio, dolce compagnia di amici:
partiti insieme dalla patria lontana,
ognuno per strade diverse
ritorneremo.

venerdì 11 maggio 2007

Godiamoci la vita di Catullo

Sir Lawrence Alma Tadema
Godiamoci la vita,
mia Lesbia, l'amore,
e il mormorio dei vecchi inaciditi
consideriamolo un soldo bucato.
I giorni che muoiono possono tornare,
ma se questa nostra breve luce muore
noi dormiremo un'unica notte senza fine.
Dammi mille baci e ancora cento,
dammene altri mille e ancora cento,
sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia
per scordare tutto ne imbroglieremo il conto,
perché nessuno possa stringere in malie
un numero di baci cosí grande.

giovedì 10 maggio 2007

La primavera di Pietro Metastasio

Già riede primaveracol suo fiorito aspetto;
già il grato zeffiretto
scherza fra l'erbe e i fior.
Tornan le frondi agli alberi,
l'erbette al prato tornano;
sol non ritorna a me
la pace del mio cor.
Febo col puro raggio
sui monti il gel discioglie,
e quei le verdi spoglie
veggonsi rivestir.
E il fiumicel, che placido
fra le sue sponde mormora,
fa col disciolto umor
il margine fiorir.
L'orride querce annose
su le pendici alpine
già dal ramoso crine
scuotono il tardo gel.
A gara i campi adornano
mille fioretti tremuli,
non violati ancor
da vomere crudel.
Al caro antico nido
fin dall'egizie arene
la rondinella viene,
che ha valicato il mar;
che, mentre il volo accelera,
non vede il laccio pendere,
e va del cacciator
l'insidie ad incontrar.
L'amante pastorella
già più serena in fronte
corre all'usata fonte
a ricomporsi il crin.
Escon le greggie ai pascoli;
d'abbandonar s'affrettano,
le arene il pescator,
l'albergo il pellegrin.
Fin quel nocchier dolente,
che sul paterno lido,
scherno del flutto infido,
naufrago ritornò;
nel rivederlo placido
lieto discioglie l'ancore;
e rammentar non sa
l'orror che in lui trovò.
E tu non curi intanto,
Fille, di darmi aìta;
come la mia ferita
colpa non sia di te.
Ma, se ritorno libero
gli antichi lacci a sciogliere,
no che non stringerò
più fra catene il piè.
Del tuo bel nome amato,
cinto del verde alloro,
spesso le corde d'oro
ho fatto risonar.
Or, se mi sei più rigida,
vuo' che i miei sdegni apprendano
del fido mio servirgli oltraggi a vendicar.
Ah no; ben mio, perdona
questi sdegnosi accenti;
che sono i miei lamenti
segni d'un vero amor.
S'è tuo piacer, gradiscimi;
se così vuoi, disprezzami;
o pietosa, o crudel,
sei l'alma del mio cor.
Roma 1719
il dipinto è di Fuchs

mercoledì 9 maggio 2007

Belta' crudele di Giovan Battista Marino

Hughes*The Enchantress
E labra ha di rubino
ed occhi ha di zaffiro
la bella e cruda donna ond'io sospiro.
Ha d'alabastro fino
la man che volge del tuo carro il freno,
di marmo il seno e di diamante il core.
Qual meraviglia, Amore,
s'ai tuoi strali, ai miei pianti ella e' si' dura ?
Tutta di pietre la formo' la natura.

martedì 8 maggio 2007

In margine al sentiero di Antonio Machado

Frederick Frieseke
In margine al sentiero un giorno ci sediamo.
Tempo è la nostra vita,
e nostro unico affanno
le pose disperate in cui per aspettare ci atteggiamo
....Ma Lei non mancherà al convegno.

lunedì 7 maggio 2007

La signorina Felicita ovvero la felicita' (ultima) di Guido Gozzano

Charles Courtney Curran
Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell'estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti da bei colchici lilla.
Forse vedendo il bel fiore malvagio

che i fiori uccide e semina le brume,
le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
accompagnarmi loro nel costume.
«Vïaggio con le rondini stamane...»

«Dove andrà?» -
«Dove andrò? Non so... Vïaggio,
vïaggio per fuggire altro vïaggio...
Oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell'Atlantico selvaggio...
Signorina, s'io torni d'oltremare,

non sarà d'altri già? Sono sicuro
di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l'altare?»
E vidi la tua bocca sillabare
a poco a poco le sillabe: giuro.
Giurasti e disegnasti una ghirlanda

sul muro, di viole e di saette,
coi nomi e con la data memoranda:
trenta settembre novecentosette...
Io non sorrisi. L'animo godette
quel romantico gesto d'educanda.
Le rondini garrivano assordanti,

garrivano garrivano parole
d'addio, guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti...
Tu seguivi gli stormi lontananti
ad uno ad uno per le vie del sole...
«Un altro stormo s'alza!...» -

«Ecco s'avvia!»
«Sono partite...» -
«E non le salutò!...»
«Lei devo salutare, quelle no:
quelle terranno la mia stessa via:
in un palmeto della Barberia
tra pochi giorni le ritroverò...»
Giunse il distacco, amaro senza fine,

e fu il distacco d'altri tempi, quando
le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
singhiozzavano forte, salutando
diligenze che andavano al confine...
M'apparisti così come in un cantico

del Prati, lacrimante l'abbandono
per l'isole perdute nell'Atlantico;
ed io fui l'uomo d'altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico...
Quello che fingo d'essere e non sono!

domenica 6 maggio 2007

Vieni come sei di Rabindranath Tagore

Vieni come sei, non indugiare a farti bella.
Se la treccia s'è sciolta dei capelli,
se la scriminatura non è dritta,
se i nastri del corsetto non sono allacciati,
non badarci.
Vieni come sei, non indugiare a farti bella.
Vieni sull'erba con passi veloci.
Se il rossetto si disfà per la rugiada,
se gli anelli che tintinnano ai tuoi piedi si allentano,
se le perle della tua collana cadono,
non badarci. Vieni sull'erba con passi veloci.
Non vedi le nubi che coprono il cielo?
Stormi di gru si levano in volo
dall'altra riva del fiume
e improvvise raffiche di vento
passano veloci sulla brughiera.
Le greggi spaurite corrono agli ovili.
Non vedi le nubi che coprono il cielo?
Invano accendi la lampada della tua toilet -
la fiamma vacilla e si spegne nel vento.
Chi può accorgersi che le tue palpebre
non sono state tinte d'ombretto?
I tuoi occhi sono più neri delle nubi.
Invano accendi la lampada della tua toilet.
Vieni come sei, non indugiare a farti bella.
Se la ghirlanda non è stata intrecciata,
che importa;
se il braccialetto non è chiuso.
lascia fare.
Il cielo è coperto di nuvole - è tardi.
Vieni come sei; non indugiare a farti bella.
(il dipinto è di A.J.White)

sabato 5 maggio 2007

La signorina Felicita ovvero la felicita' VI di Guido Gozzano

Hughes
Tu m'hai amato.
Nei begli occhi fermi
luceva una blandizie femminina;
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina;
e più d'ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!
Unire la mia sorte alla tua sorte
per sempre, nella casa centenaria!
Ah! Con te, forse, piccola consorte
vivace, trasparente come l'aria,
rinnegherei la fede letteraria
che fa la vita simile alla morte...
Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d'essere un poeta!
Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t'han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi...
E non mediti Nietzsche...
Mi piaci. Mi faresti più felice
d'un'intellettuale gemebonda...
Tu ignori questo male che s'apprende
in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
tutta beata nelle tue faccende.
Mi piace. Penso che leggendo questi
miei versi tuoi, non mi comprenderesti,
ed a me piace chi non mi comprende.
Ed io non voglio più essere io!
Non più l'esteta gelido, il sofista,
ma vivere nel tuo borgo natio,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
come tuo padre, come il farmacista...
Ed io non voglio più essere io!

venerdì 4 maggio 2007

La signorina Felicita ovvero la felicita' V di Guido Gozzano

Diaz Olano
............«Tutto mi spiace che mi piacque innanzi!
Ah! Rimanere qui, sempre, al suo fianco,
terminare la vita che m'avanzi
tra questo verde e questo lino bianco!
Se Lei sapesse come sono stanco
delle donne rifatte sui romanzi!
Vennero donne con proteso il cuore:
ognuna dileguò, senza vestigio.
Lei sola, forse, il freddo sognatore
educherebbe al tenero prodigio:
mai non comparve sul mio cielo grigio
quell'aurora che dicono: l'Amore...»
Tu mi fissavi... Nei begli occhi fissi
leggevo uno sgomento indefinito;
le mani ti cercai, sopra il cucito,
e te le strinsi lungamente, e dissi:
«Mia cara Signorina, se guarissi
ancora, mi vorrebbe per marito?».
«Perché mi fa tali discorsi vani?
Sposare, Lei, me brutta e poveretta!...»
E ti piegasti sulla tua panchetta
facendo al viso coppa delle mani,
simulando singhiozzi acuti e strani
per celia, come fa la scolaretta.
Ma, nel chinarmi su di te, m'accorsi
che sussultavi come chi singhiozza
veramente, né sa più ricomporsi:
mi parve udire la tua voce mozza
da gli ultimi singulti nella strozza:
«Non mi ten...ga mai più... tali dis...corsi!»
«Piange?»
E tentai di sollevarti il viso
inutilmente. Poi, colto un fuscello,
ti vellicai l'orecchio, il collo snello...
Già tutta luminosa nel sorriso
ti sollevasti vinta d'improvviso,
trillando un trillo gaio di fringuello.
Donna: mistero senza fine bello!

giovedì 3 maggio 2007

La signorina Felicita ovvero la felicita' IV di Guido Gozzano

Bellezza riposata dei solai
dove il rifiuto secolare dorme!
In quella tomba, tra le vane forme
di ciò ch'è stato e non sarà più mai,
bianca bella così che sussultai,
la Dama apparve nella tela enorme:
«È quella che lasciò, per infortuni,
la casa al nonno di mio nonno... E noi
la confinammo nel solaio, poiche porta pena...
L'han veduta alcuni
lasciare il quadro; in certi noviluni
s'ode il suo passo lungo i corridoi...».
Il nostro passo diffondeva l'eco
tra quei rottami del passato vano,
e la Marchesa dal profilo greco,
altocinta, l'un piede ignudo in mano,
si riposava all'ombra d'uno speco
arcade, sotto un bel cielo pagano.
Intorno a quella che rideva illusa
nel ricco peplo, e che morì di fame,
v'era una stirpe logora e confusa:
topaie, materassi, vasellame,
lucerne, ceste, mobili: ciarpame
reietto, così caro alla mia Musa!
.............
«Avvocato, non parla: che cos'ha?»
«Oh! Signorina! Penso ai casi miei,
a piccole miserie, alla città...
Sarebbe dolce restar qui, con Lei!...»
«Qui, nel solaio?...» -
«Per l'eternità!»
«Per sempre? Accetterebbe?...» -
«Accetterei!»
Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
e prigioniero. Stavasi in riposo
alla parete: il segno spaventoso
chiuso tra l'ali ripiegate a tetto.
Come lo vellicai sul corsaletto
si librò con un ronzo lamentoso.
«Che ronzo triste!» -
«È la Marchesa in pianto...
La Dannata sarà che porta pena...»
Nulla s'udiva che la sfinge in pena
e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto:
O mio carino tu mi piaci tanto,
siccome piace al mar una sirena...
Un richiamo s'alzò, querulo e rôco:
«È Maddalena inqueta che si tardi:
scendiamo; è l'ora della cena!». -
«Guardi,
guardi il tramonto, là...
Com'è di fuoco!...
Restiamo ancora un poco!» -
«Andiamo, è tardi!»
«Signorina, restiamo ancora un poco!...»
...........
«Una stella!...» -
«Tre stelle!...» -
«Quattro stelle!...»
«Cinque stelle!» -
«Non sembra di sognare?...»
Ma ti levasti su quasi ribelle
alla perplessità crepuscolare:
«Scendiamo! È tardi: possono pensare
che noi si faccia cose poco belle...»

mercoledì 2 maggio 2007

La signorina Felicita ovvero la felicita' III di Guido Gozzano

Ritman*1915
Sei quasi brutta, priva di lusinga
nelle tue vesti quasi campagnole,
ma la tua faccia buona e casalinga,
ma i bei capelli di color di sole,
attorti in minutissime trecciuole,
ti fanno un tipo di beltà fiamminga...
E rivedo la tua bocca vermiglia
così larga nel ridere e nel bere,
e il volto quadro, senza sopracciglia,
tutto sparso d'efelidi leggiere
e gli occhi fermi, l'iridi sincere
azzurre d'un azzurro di stoviglia...
Tu m'hai amato.
Nei begli occhi fermi
rideva una blandizie femminina.
Tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina:
e più d'ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!
Ogni giorno salivo alla tua volta
pel soleggiato ripido sentiero.
Il farmacista non pensò davvero
un'amicizia così bene accolta,
quando ti presentò la prima volta
l'ignoto villeggiante forestiero.
Talora - già la mensa era imbandita
-mi trattenevi a cena.
Era una cena
d'altri tempi, col gatto e la falena
e la stoviglia semplice e fiorita
e il commento dei cibi e Maddalena
decrepita, e la siesta e la partita...
Per la partita, verso ventun'ore
giungeva tutto l'inclito collegio
politico locale: il molto Regio
Notaio, il signor Sindaco,
il Dottore;
ma - poiché trasognato giocatore
-quei signori m'avevano in dispregio...
M'era più dolce starmene in cucina
tra le stoviglie a vividi colori:
tu tacevi, tacevo, Signorina:
godevo quel silenzio e quegli odori
tanto tanto per me consolatori,
di basilico d'aglio di cedrina...
Maddalena con sordo brontolio
disponeva gli arredi ben detersi,
rigovernava lentamente ed io,
già smarrito nei sogni più diversi,
accordavo le sillabe dei versi
sul ritmo eguale dell'acciottolio.
Sotto l'immensa cappa del camino
(in me rivive l'anima d'un cuoco
forse...) godevo il sibilo del fuoco;
la canzone d'un grillo canterino
mi diceva parole, a poco a poco,
e vedevo Pinocchio e il mio destino...
Vedevo questa vita che m'avanza:
chiudevo gli occhi nei presagi grevi;
aprivo gli occhi: tu mi sorridevi,
ed ecco rifioriva la speranza!
Giungevano le risa, i motti brevi
dei giocatori, da quell'altra stanza.